Sophie Aghajanian: un’incisione tra luci e ombre
In Novembre 29, 2021 da Greta Meroni«Fin dall’età di due anni ho sempre desiderato disegnare. Ho avuto un’infanzia molto turbolenta, perché la Palestina fu trascinata nella guerra tra le comunità araba ed ebraica. Quando avevo cinque anni, la mia famiglia io eravamo rifugiati in Giordania mi ricordo che una delle gioie più grandi era ricevere una matita per poter disegnare».
Due parole su Sophie Aghajanian
Sophie Aghajanian nasce in Israele nel 1943. Incoraggiata dai genitori ad andare in Inghilterra, studiò arte insieme alla sorella. Durante gli anni della scuola, negli anni Sessanta, venne influenzata dalle forme astratte d’arte che però non sentì mai pienamente sue, preferendo immagini figurative. Decise poi di dedicare le sue forze allo studio, a Brighton, dell’incisione dalla quale restò affascinata. «Un’arte artigianale» che diventò la sua forza d’espressione preferita. Si trasferì poi a Belfast dove poi aprì il Belfast Print Workshop.
«La stampa d’arte ha lo stesso valore del dipinto, ma volte le attribuiscono importanza maggiore. La mia opera nasce dall’osservazione; posso prendere spunto guardando fuori dalla finestra le immagini che mi circondano, per poi andare nello studio lavorare su ciò che ho visto che vedo. I riflessi di luce sono diventati molto importanti per me e lo sono tuttora»
Tra luci e ombre
Il lavoro dell’artista si muove spesso tra pittura e incisione. In entrambi i casi si pone l’accento sulla riflessione, la differenza tra luce e oscurità, e gli effetti che essi hanno sul soggetto dandogli una forma nuova. L’effetto simile allo sfumato, tanto nella pittura quanto nell’incisione, crea un’atmosfera simile a dei sogni, evocativa e misteriosa, sfondo per i soggetti che diventano presenze modeste e silenziose.
L’elemento essenziale è, infatti, la luce. Per questo nelle sue composizioni utilizza spesso un vecchio specchio crepato, ricoperto di polvere, davanti al quale dispone oggetti. Così facendo, una volta colpito dal sole, i riflessi e le ombre diventano più importanti dell’oggetto stesso che non viene riflesso nitidamente, ma viene quasi percepito come astratto.
«Mi piace l’acquaforte, abbinata all’acquatinta, perché non sai mai quale sarà il risultato finale… per un periodo non sono stata in grado di dipingere, così ho iniziato a lavorare con i pastelli. Strofinavo pigmento nero sulla carta prima di introdurre gradualmente colori più teneri. Poi mi sono avvicinata al monotipo, usando rulli e ripulendo la lastra.»
Per lei, diversamente dai dipinti in cui la linea muore nel suo farsi, la stampa d’arte ha una componente processuale imprescindibile che però associa alla possibilità dell’errore e quindi del caso.
Anche per questo motivo, le sue opere sono realizzate spesso attraverso acquaforte, acquatinta e il lavis. Quest’ultimo è un procedimento che si basa su un’incisione in cavo mediante morsura diretta: sulla lastra viene passato un pennello intriso di acido. Questa operazione conferisce al metallo un aspetto granuloso, con effetti in stampa simili all’acquerello.
«Per me la stampa d’arte è quasi una forma di meditazione». Ecco perché l’obiettivo dell’artista è quello di superare la pura rappresentazione attraverso la ricerca di dinamicità e senza un’assoluta consapevolezza, troppo statica, del risultato finale.» (La stampa d’arte, tecniche tradizionali e contemporanee, 2010)