Pensieri di un lettore di giornali qualunque

Durante il periodo dei blocchi dovuti al Covid – 19, la gente ha fame di notizie e informazioni. Molti osservatori hanno notato che questo è anche il periodo migliore per sfamare il pubblico, grazie a internet e alla TV. Condivido con voi qualche pensiero di un lettore di giornali qualunque.

La fame di notizie

All’inizio, quando ancora al coronavirus non ci eravamo abituati, tenere accesa la TV in attesa della prossima conferenza stampa o aggiornare il sito del proprio notiziario preferito ci sembrava strano. Non eravamo abituati ad avere bisogno di informazioni. Un bisogno elementare e piuttosto ovvio: sapere cosa sta succedendo intorno a noi. Probabilmente a stare davanti alla TV, in un primo tempo, era solamente una porzione molto limitata di popolazione: prima la Cina, poi l’Italia delle prime zone rose. Quando l’intera nazione è stata chiusa, allora era un numero davvero considerevole di persone a sperimentare questa nuova sensazione e questo nuovo bisogno. Quando l’epidemia è diventata pandemia, ecco allora che è stato l’intero mondo a vivere una vita nuova.

Ma dato che c’è il web, la TV, la radio e i social non è stato difficile per nessuno sapere cosa stava succedendo. O forse non è così?

Non siamo più soddisfatti delle notizie

Quando neanche i medici avevano chiaro come trattare questa malattia, la confusione era senza limiti. Non si sapeva proprio cosa sarebbe stato di noi, e infatti la gente ha reagito come meglio ha creduto. Qualcuno andava a mangiare al ristorante, qualcuno diceva di aprire i negozi e qualcuno di chiudere tutto. Qualcuno diceva che eravamo in guerra, qualcuno diceva che era tutto finto; qualcuno faceva il disfattista, qualcuno faceva il complottista.

Poi i morti sono aumentati, Codogno e limitrofi è stata chiusa, poi Bergamo, Brescia e tutta l’area metropolitana di Milano. La Lombardia e l’Italia intera. Ecco allora che non c’era più dubbio: quasi tutti coloro che parlavano alla nazione o avevano spazio sui media usano la stessa lingua fatta di preoccupazione, incertezza e chiusure.

Ma poi le lunghe settimane della chiusura in casa ci hanno messo in difficoltà. Siamo ormai abituati alla fame di notizie, ma non siamo soddisfatti, anche se magari non ce ne accorgiamo. E se perdiamo la fiducia nella carta stampata, allora perdiamo tutti i punti di riferimento.

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I giornali dicono sempre le stesse cose

In questo periodo i giornali sono pieni di articoli che possiamo ricondurre a tre categorie: informazione (poca e ripetitiva), opinioni di chi si intende di virus e opinioni di chi non sapeva neanche cosa fosse un virus prima che arrivasse il corona.

L’informazione di solito si riduce alla ripetizione delle stesse cose (con qualche modifica in base al decreto del giorno), senza nulla aggiungere. In altre parole: se si legge il giornale quotidianamente è un continuo di grafici, titoloni oggi positivi domani negativi in base al bollettino della Protezione Civile, considerazioni su chi esce e sulle sanzioni, vademecum su cosa si può fare e cosa è vietato. Però, se ogni giorno gli argomenti sono sempre gli stessi, il lettore si assuefa e non presta più attenzione a quello che legge, dato che gli pare un déjà vu. E quindi? Che colpa ne hanno i media se non ci sono cose nuove da dire? Nessuna, ma l’assuefazione del lettore si combatte con un’attenzione all’informatività dei testi che si pubblicano.

L’informatività del testo

L’informatività è realizzata se il testo è per il destinatario informativo, cioè accresce o modifica le sue conoscenze sul mondo, o l’atteggiamento epistemico o emotivo che egli ha rispetto ad esso. 

Così è definita la caratteristica dell’informatività di un testo in un articolo della Treccani. Sembra una definizione fine a se stessa, scontata: ogni testo, ci sembra, deve pur accrescere le conoscenze di chi legge, anche se in minima parte. Ma non è sempre così. Luca Serianni, linguista, filologo e accademico italiano, in un commento a un esempio che riporta nel suo libro Prima lezione di grammatica (Roma – Bari, Laterza, 2006) a pagina 76, parlando proprio di un vero articolo di giornale, sostiene che una frase come quella che segue non sia informativa:  «Le cinque vittime del raptus omicida, tutte di età compresa tra i 14 e i 67 anni, sono i due nonni di Scott […]» (City, 1 giugno 2005). Il professore nota: «La formula tutti o tutte (di)… introduce una restrizione significativa rispetto all’universo possibile […], ma se i limiti vanno dai 14 ai 67 anni, essi comprendono si può dire l’intero arco dell’esistenza umana e quindi la restrizione non ha alcun senso. È come chi dicesse […] che una tale ha un’età indefinibile tra i 20 e i 70 anni: l’affermazione ci fa sorridere perché la sua informatività è nulla.»

A molti testi presenti nei giornali di oggi è questo che manca: l’informatività, tanto nelle singole frasi quanto nella struttura generale e nel rapporto con gli articoli dei giorni precedenti. Ci sono giorni in cui alla prima pagina si riporta l’indicazione della possibile “fase 2” della battaglia al coronavirus come imminente e si cita come fonte uno studio commissionato dal giornale stesso. Il giorno dopo (o nel peggiore dei casi nelle pagine d’opinione) si riporta il corsivo di qualcuno che postpone la “fase 2” a un periodo remoto. Ecco dunque che il testo non modifica le conoscenze sul mondo del lettore, ma le confonde e le complica. Se intendiamo il giornale non come raccolta di articoli scollegati fra loro, bensì come un percorso di idee, contrasti e accordi ecco che allora l’informatività del testo-giornale ci appare un elemento da tenere in considerazione.

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Come risolvere? Il quadro generale 

Una prima soluzione pare davvero così banale da essere ridicola, peccato che spesso sembra che qualcuno se ne dimentichi. Bisogna sempre rispettare il lettore e capire che il principale motivo per cui oggi si leggono i giornali (anche e soprattutto in questo periodo storico) è farsi un’idea generale delle questioni. Ecco allora che se ieri si è deciso di fare spazio a un’opinione di un medico che sosteneva che il coronavirus si sarebbe sconfitto in un mese e oggi a un altro che sostiene che non si sconfiggerà prima di un anno, è necessario chiedere all’uno il motivo per cui, a suo parere, l’altro ha un’opinione così diversa; magari sarebbe opportuno metterli a confronto diretto e infine spiegare chiaramente al lettore che il giornale ha lasciato spazio a entrambi gli interventi per un motivo ben preciso (sarà compito del giornale stesso spiegare il perché). Se una solo di queste spiegazioni mancasse, ecco che l’organo d’informazione viene meno nel suo compito di permettere al lettore di crearsi il proprio quadro generale o la visione complessiva, ampia e a volte sinottica delle questioni.

Anche le contraddizioni contribuiscono all’arricchimento del lettore, ma non devono essere mai celate, anzi evidenziate e spiegate il più a fondo possibile.

Il ruolo dei giornali in quest’epoca: approfondire

Una seconda soluzione che immagino vede una maggiore attenzione da parte della carta stampata nei confronti dell’approfondimento. Come lo intendo in questo contesto, lo immagino una reale analisi delle questioni, non una semplice trasposizione di opinioni altrui.

Comunemente siamo abituati ad articoli con titoli molto promettenti, magari che riportano un virgolettato di uno studioso in merito a una questione. Leggendolo, ci attendiamo un’ampia analisi dell’argomento con degli interventi dello studioso, intervistato dal giornalista che scrive. E invece no, ci troviamo un’intervista “botta e risposta” con domande brevi e risposte ancor più telegrafiche; la frase del titolo la incontriamo (quando ci va bene) verso la fine e ben poco contestualizzata.

L’approfondimento me lo immagino con fondamenta ben diverse. In primo luogo, il pezzo dev’essere adeguatamente lungo da lasciar un lavoro di documentazione; un numero adeguato di intervistati; una conclusione che ristabilisca il filo del discorso, magari evidenziando i nodi rimasti aperti. Ecco dunque che un titolo «Le scuole non riapriranno più» non apparirà dunque uno specchietto per le allodole per attirare i lettori ingenui; al termine della lettura non saremo indignati per aver perso tempo a leggere un articolo con un titolo ingannevole e mal documentato, ma saremo davvero informati grazie all’autorevolezza e alla completezza: l’approfondimento ci aiuterà a creare il nostro quadro generale.

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Una proposta forse un po’ utopistica

E se la soluzione a tutto fosse concedere maggior spazio alla poesia, alla narrazione in senso lato e magari ai racconti di cose davvero interessanti.

Effettivamente, se si espone così il pensiero si rischia di mandare fuori strada il lettore. Lasciare spazio a poesia, narrazione e argomenti interessanti non risolve tutto, ma certamente potrebbe essere un passo nella direzione che sto immaginando in questo articolo.

Nelle letture che gli italiani possono trovare in edicola, digitale o fisica che sia, non figurano poesie: i quotidiani ne sono sostanzialmente privi e le riviste che le ospitano si contano sulle dita di mezza mano (forse su un dito solo). A cosa servirebbe la poesia? Servirebbe a sentire la voce di qualcuno che ha uno sguardo particolare e diverso dagli altri sul mondo e sulle cose che ci stanno accadendo. Si badi bene, mi sto riferendo alla poesia buona, a quella vera!

Poi c’è la narrazione, e si apre un mondo: fra long journalism e narrative journalism, la scrittura anti – Twitter sta riguadagnando terreno (ma magari a questo dedicheremo un articolo a parte). Di fatto, in questo periodo qualche vero articolo di narrazione – in cui si parli di una storia, dall’inizio alla fine, con protagonisti, spazio e tempo, in modo unitario e completo – potrebbe essere apprezzato dal pubblico dei quotidiani. A volte siamo così abituati a tutte le caratteristiche dei pezzi dei quotidiani che un articolo lungo, nelle cui prime righe si introduca una storia interessante, potrebbe impressionarci così tanto da farci rimanere al bar (o davanti alla nostra tazza rinchiusi in casa come adesso) a prolungare la colazione per finirlo tutto, tornando al lavoro davvero più arricchiti.

Un post scriptum

Non voglio che questo articolo suoni come una requisitoria nei confronti del giornalismo italiano: non ho le competenze per farlo. Questi sono pensieri di un assiduo lettore di giornali e riviste