Vincent allo specchio tra arte e vita
In Marzo 16, 2020 da Greta MeroniA tutti è successo, almeno una volta nella vita, di guardarsi allo specchio e non riconoscersi.
Un nuovo taglio? Può essere, ma spesso tutto muta senza che ce ne accorgiamo. No, non siamo in un romanzo di Pirandello.
Semplicemente l’uomo moderno cambia tanto velocemente da sembrare sempre diverso.
Alcuni mesi fa, sfogliando un libro su Van Gogh (o come preferiva lui, solo Vincent), mi sono imbattuta in uno dei suoi primissimi autoritratti e sembrava di osservare un uomo molto diverso da quello che pensiamo di conoscere.
Ho iniziato così, mossa da un’irrefrenabile curiosità, a confrontare e studiare tutti i suoi autoritratti, 44 in tutto.
Dietro ad ogni sua tela si nasconde il mistero della sua identità. Un’identità frammentata. Un uomo con più volti.
Se prendiamo i suoi autoritratti in successione non notiamo solo un cambiamento stilistico ma anche una diversa concezione di se stesso. Un diverso stato d’animo; un uomo diverso, che muta con il tempo.
È la ricerca interiore che egli ha condotto lungo tutta la vita a renderlo non solo estremamente moderno ma anche tanto amato.
Al fratello scriveva: «Vorrei solo che mi accettassero per quel che sono».
Questa frase l’abbiamo pensata tutti. Ecco che Vincent è spinto proprio da questa volontà.
Van Gogh nasce nel 1853 in Olanda. La sua vita è costellata di tentativi falliti fino a quando decide di diventare pittore.
Uno dei primi autoritratti è realizzato nel 1886 a Parigi. Lui ha 33 anni.
Qui vediamo un uomo composto, pensieroso, in giacca e cravatta, con una pipa.
I colori sono quelli scuri olandesi, non troviamo né i colori, né le pennellate che lo renderanno famoso. È l’autoritratto di un giovane uomo che vuole fare il pittore.
Dopo il periodo olandese abbiamo un’ampia crescita artistica ed espressiva che coincide con la scoperta del colore a Parigi.
Dalla pennellata pastosa che vuole imitare e riprendere quella impressionista, lentamente inizia a delinearsi quello stile teso che esprime l’angoscia crescente dell’artista. Quello stile per cui diventerà tanto famoso.
Abbiamo tutti presente l’autoritratto con l’orecchio bendato, diventato ormai simbolo della follia del pittore. A mio avviso però l’autoritratto che rappresenta più a fondo il suo animo non è quello…
…ma quello della fine settembre nel 1890 in cui si rade la barba.
C’è tristezza nei suoi occhi.
Credo sia l’autoritratto più intimo e commovente di tutti. Vincent è solo un uomo e in questo ultimo autoritratto ce lo dice. Si spoglia della sua barba per mostrarsi più fragile a noi.
Genio, artista, pazzo. Tutto questo e nulla al contempo.
Per Vincent la tela diventa uno specchio mentre la pittura è un modo per indagare il proprio animo.
Ogni suo autoritratto è una finestra che ci permette di cogliere solo una parte dell’anima del pittore. Solo prendendoli tutti in successione se ne inizia ad avere un’idea più precisa e fedele al vero. In realtà non sembra molto lontano da un romanzo di Pirandello ma forse aveva ragione un altro grande genio dicendo che «La vita è un palcoscenico, e tutti gli uomini non sono nient’altro che attori.»
Vincent è sicuramente uno dei pittori più misteriosi e complessi della storia dell’arte, e forse proprio per questo, anche uno dei più amati. Leggendo le sue lettere sembra al contempo un amico con cui è facile immedesimarsi per la sua umanità e al contempo un’ombra che sfugge alle nostre considerazioni.
Osservando Vincent: consigli di lettura… e non solo
Proprio perché Vincent è un personaggio tanto fuggevole è imprescindibile la lettura, per conoscerlo meglio, delle sue Lettere a Theo; lettere scritte al fratello tra il 1872 e il 1890.
Qui si ripercorrono i dubbi, le domande dell’uomo accanto alla nascita dell’idea di diventare pittore, i tentativi falliti, la necessità della pittura. Si delinea perciò la figura dell’uomo e del pittore, i meccanismi creativi e artistici; emerge inoltre il legame indissolubile con il fratello fino alla morte.
Le lettere sono scritte con una costanza tale che ritroviamo solo nell’assiduità con cui dipinge.
Per comprendere invece i silenzi, le pause, l’essenza dietro a tutte quelle parole vi consiglio il film Sulle soglie dell’eternità (2018). Pochi, brevi e profondissimi dialoghi ripercorrono i luoghi della vita di Vincent. I colori, i silenzi e i suoni che accompagnano le sue passeggiate ma anche i vuoti, i cortocircuiti nella mente di un uomo che troppo spesso viene definito solo pazzo. I grandi temi della natura, Dio, l’amicizia con Gauguin sono trattati con intensità dal regista e artista Julian Schnabel che riesce a restituire un’immagine poetica e personale di Vincent. La bellezza e genialità del film risiede anche nella bravura di Willem Dafoe che coglie l’essenza profonda dell’artista.