L’artista che toccò la luna, le prime opere di Lucio Fontana 

«È difficile parlare di Lucio Fontana, che non si sa bene se sia più scultore o pittore, che ha una genialità senza limiti […] Forse la colpa è nostra, che non abbiamo sufficiente fantasia per seguirlo.» (Lionello Venturi, L’Espresso)

La frase di Bruno Munari, diventata celebre con il libro di Francesco Bonami, si potrebbe ben applicare ai tagli di Fontana. Non è un caso infatti che in una delle ultime edizioni del libro compaiano in copertina proprio i famosi tagli. 
Celebri e conosciuti da chiunque, non sono solo una rivoluzione artistica, ma sono la conseguenza di una lunga ricerca spaziale condotta da Fontana durante tutta la sua vita. 
Questo, e un prossimo articolo, saranno perciò dedicati all’artista dei tagli in un percorso attraverso le opere che hanno segnato maggiormente la storia dell’arte delineando una concezione artistica nuova e personale. 

 

Due parole su Lucio Fontana 

Lucio Fontana nasce in Argentina nel 1899 ma fin da giovane si trasferisce a Milano. Dopo la Prima Guerra Mondiale si iscrive all’Accademia di Brera dove studia con un maestro d’eccezione: Adolfo Wildt, scultore simbolista, da cui impara l’importanza di forma e materia nella scultura.
Dopo alcuni lavori ed esposizioni degli anni ’30, dal 1939 al 1945, si rifugia a Buenos Aires durante la Seconda Guerra Mondiale. 

Lucio Fontana tra le macerie del suo studio, Milano 1946

L’Uomo nero

Una foto ritrae Lucio Fontana a Milano che emerge dalle macerie del suo studio, bombardato durante la Guerra, subito dopo essere ritornato dal suo viaggio in Argentina nel 1946. Sembra quasi che tra le rovine stia cercando i resti del suo lavoro degli anni ’30. 
Le opere di questo periodo infatti sono conosciute solo attraverso le fotografie scattate prima del bombardamento come accade per L’Uomo Nero (1930), opera in gesso rivestita di bitume che viene considerata l’inizio della sua riflessione artistica.
È un’opera che lui stesso considerava né pittura né scultura. Nelle lettere che Fontana scrive a proposito di questa, con un tono sempre un po’ confuso e criptico, sembra già riconoscere un’ idea di antiscultura con la volontà di abolire la staticità della materia guardando, in questo periodo, al dinamismo plastico di Boccioni. 

 

L’uomo nero, 1930

 

Opere argentine 

Le figure realizzate da Fontana nel periodo del soggiorno argentino (1939-1945) sono caratterizzate da un’aggressione alla materia della figura umana, che viene quasi scarnificata, modellata con irregolari sporgenze. Un modo di utilizzare la materia che è stato definito barocco, in contrapposizione all’ idea della figura realista accademica. Il termine barocco non è per Fontana negativo ma è da considerare nella sua connotazione linguistica originale ovvero nella sua accezione di irregolarità. 

Per quanto sia vicina alle devastazioni della guerra, questo stile è maggiormente legato alla pura libertà e liberazione dell’immagine. Sculture come La Silla Barroca (1946), Mujer Herida (1944), Mujer (1940) ne sono un chiaro esempio. In quest’ultima, come accade spesso in questo periodo, Fontana esalta la figura con il colore oro. Un barocco, anche qui irregolare, antinaturalistico, che passa attraverso il soggetto assumendo valenze simboliche. I colori infatti in particolare l’oro, danno luce, esprimendo la smaterializzazione della superficie. Il rapporto tra forma e decorazione è qui, come in seguito, elemento fondante dell’arte di Fontana. 

 

Mujer, 1940

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Il Manifiesto Blanco 

Quando nel 1946 Lucio Fontana torna a Milano dopo essere stato in Argentina, lo fa con uno slancio nuovo e, al contempo, porta con sé le riflessioni e l’eredità artistica del suo viaggio. 
Testimonianza di questo è il Manifiesto Blanco, sottoscritto in Argentina nello stesso anno ed essenziale punto di partenza che porterà, anni dopo al movimento dello Spazialismo.
L’intento degli artisti del manifesto, tra cui Fontana, è compiere una rivoluzione nell’arte. Un’evoluzione per un’arte nuova all’interno della quale sarebbero entrati in gioco altri aspetti della realtà come la scienza. È la scienza infatti che spinge l’arte al cambiamento e modifica la struttura dell’uomo. Un’arte che vada oltre pittura, scultura, letteratura, musica includendo qualsiasi sperimentazione. 
L’importanza  che la scienza assume nelle ricerche di Fontana si comprende molto bene pensando al tentativo in quegli anni di raggiungere la Luna, idea che avrebbe superato i limiti dell’uomo ma che, già in questo periodo, iniziava a presentare nuovi temi e spunti per gli artisti. 

 

Manifiesto Blanco 1946

 

Va inoltre considerata la natura del manifesto non solo estetico ma anche e soprattutto sociale, segno del cambiamento delle città argentine, che in quegli anni da agricole diventavano lentamente industriali. Quello che il Manifiesto Blanco incarna è quindi lo spirito contemporaneo.
Si cerca un’ attenzione sempre maggiore alla forma astratta raggiungibile solo attraverso la deformazione, che sarebbe stata l’unica alternativa praticabile al Realismo. Si vuole un mutamento della forma (nella pittura, scultura, poesia), a vantaggio di un’opera d’arte totale. 
La spazialità però non viene ancora superata: le figure continuano a muoversi nello spazio pur essendo espressione della natura dinamica. Il legame futurista tra spazio e tempo che modifica la forma è alla base di queste idee e del futuro Spazialismo. 
L’arte è basata per questi artisti su unità di tempo e spazio in un legame tra arte e natura, quest’ultima è considerata nella sua accezione fisica di materia che si sviluppa nello tempo e nello spazio. La nuova arte che si vuole raggiungere è quindi caratterizzata dalla materia come concezione dell’universo.

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Le sculture spaziali 

Due opere segnano, al ritorno da Milano, la rielaborazione di Fontana dei temi di materia e spazio. Sono entrambe esposte alla Biennale di Venezia nel 1948 presentandosi in sintonia con le ricerche informali che diventeranno predominanti in anni successivi. In realtà, pur riprendendo la libertà del gesto dell’Informale, rappresentano una rivoluzione scultorea.  
La prima è Scultura spaziale (1947). Un anello smaterializzato in gesso e bronzo, come un ammasso di materia, in cui però sembra essere più importante il vuoto rispetto ai pieni.
Le sporgenze e irregolarità delle sculture barocche si uniscono qui alla ricerca dello spazio: il vuoto che si crea sembra evocare un buco nero, quasi una rappresentazione dello spazio, con pieni e vuoti, più che materia. Già qui troviamo una prima possibilità del superamento di immagine e forma.

 

Scultura spaziale, 1947

L’opera ricorda una scultura di Arturo Martini: Atmosfera di una festa (1946-7) che testimonia gli ultimi anni dell’artista e rappresenta il desiderio e impossibilità della scultura di rappresentare l’ombra. 
Fontana pur riprendendo il desiderio di Martini di superare materia e forma, riesce ad andare oltre effettivamente portando a compimento questa volontà nel concetto di spazio. 

 

Arturo Martini, Atmosfera di una testa, 1944

 

Segue questa stessa ricerca la Scultura spaziale (1947).
Una figura umana irregolare che da un lato segna la ripresa del periodo barocco, dall’altra completa la precedente in una nuova idea. 
Fontana la definisce come un uomo atomico: un uomo che, secondo le ricerche atomiche di quel tempo, sembra aggredito e può essere distrutto dalla materia circostante.

Scultura spaziale, 1947

 

Questi primi esperimenti sullo spazio e la scultura sono affiancati, nello stesso periodo, da disegni in cui attraverso cerchi Fontana prova a delineare un nucleo, indaga l’universo attraverso elementi infinitamente grandi o piccoli. Una rappresentazione ed elaborazione spaziale per studiare i movimenti cosmici. Una ricerca che non vuole parlare dell’inizio dei tempi ma avvicinarsi alla fisiologia dello spazio.

 

Ricerca spaziale, 1946

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Scultore e non ceramista 

«Io sono uno scultore non un ceramista. Non ho mai girato al tornio un piatto, né dipinto un vaso.»

Accanto a queste ricerche Fontana porta avanti dagli anni ’30 lavori realizzati in ceramica. 
È probabile che Fontana abbia iniziato a lavorare la ceramica negli anni ’30 a Milano, presso il forno dell’amico e artista Fausto Melotti. Dal 1935 inizia a collaborare con la Manifattura di Giuseppe Mazzotti, ad Albisola Marina. Negli anni passati in Argentina continua la sua ricerca in questo campo riscuotendo grande successo. 
Fontana traduce in chiave tridimensionale, attraverso la ceramica, le sue riflessioni sullo spazio. 
Questo materiale esalta il nesso tra colore e forma in rapporto con lo spazio circostante. 
Sarà lo studioso Giulio Carlo Argan nel 1939 a spiegare come il colore nelle ceramiche di Fontana non rappresenti solo un fenomeno in superficie ma un principio plastico: la materia partecipa allo spaio grazie all’azione esterna della luce.

 

Via Crucis, 1947

 

Un esempio celebre in cui Fontana mostra appieno le potenzialità del medium è Via Crucis (1947), realizzata dopo il ritorno dall’Argentina. 
La scelta di un soggetto sacro non è dettata da una committente specifica ma voluta dall’artista stesso. Qui la materia sembra respirare piena di vita nello spazio e ci dà una personalissima interpretazione di Fontana di un tema tanto caro alla tradizione artistica.

Del medesimo anno è il Primo Manifesto dello Spazialismo in cui si legge, nell’incipit:

«L’arte è eterna, ma non può essere immortale. (…) Rimarrà eterna come gesto, ma morrà come materia. (…) Noi pensiamo di svincolare l’arte dalla materia, di svincolare il senso dell’eterno dalla preoccupazione dell’immortale»