Sapiens di Harari: cos’altro si può scrivere a riguardo?

Ho scoperto Sapiens di Harari di recente. Ne avevo sentito parlare, ma non si era mai presentata l’occasione di leggerlo. Ora, dopo più di cinquecento pagine e qualche giorno di attesa per far decantare la lettura, posso dire di aver letto un magnifico libro, in grado di ampliare i propri orizzonti. Ma, come in tutti i grandi libri, ci sono dei compromessi.

Di cosa si parla e come se ne parla 

Tanto si è scritto di questo libro, in vetta alle classifiche del New York Times per lungo tempo, e difficilmente si potrà dire ancora qualcosa di nuovo. I punti fermi sono inequivocabili e validi per tutti. Il saggio è un monumentale, ma perfettamente digeribile, concentrato di antropologia, biologia, filosofia, storia, storia globale, con un pizzico di ponderate opinioni personali. Lo stile è chiaro, e non è impresa facile, dal momento che la carne al fuoco è davvero tanta.

Lo scopo del libro, il filo conduttore, è dimostrare il motivo per cui proprio Homo Sapiens sia riuscito a dominare su tutte le altre creature e le altre specie umane (per esempio sui Neanderthal).

Harari, per districarsi nei 70 000 anni di cui parla, identifica tre rivoluzioni (agricola, cognitiva e scientifica), snodi fondamentali della storia umana. Ognuno di questi snodi, afferma l’autore, permette al Sapiens di progredire. Harari ci narra una storia che, fra luci e ombre, si dipana dai periodi più sconosciuti della Preistoria fino alla clonazione, obiettivo del nostro prossimo futuro. Corredato da schemi, illustrazioni e grafici esplicativi, è una lettura che riesce ad avvincere soprattutto perché parla di noi e, molto spesso, risponde a domande che magari non ci eravamo mai posti. 

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Alcuni passi memorabili 

Sono numerosi i punti del saggio che dimostrano un’ottima attitudine alla divulgazione da parte dell’autore. Terminato il libro, saranno molti i lettori che ricorderanno il capitolo dedicato alle esplorazioni. Con sicurezza, l’autore considera Cristoforo Colombo ancora un uomo medievale, mentre Amerigo Vespucci sarebbe «il primo uomo moderno», perché non era convinto di sapere tutto del mondo ed era pronto ad accettare le nuove scoperte.

Al volgere del saggio, Harari si dedica alla storia della felicità, dimostrando come questo sia un aspetto spesso trascurato dagli studi storici. Al crocevia fra psicologia, sociologia, storia e antropologia, la felicità è un fattore molto difficile da studiare, soprattutto in quanto complicato da definire. 

Tre motivi per leggere Sapiens

Considerati i punti deboli (che lascio in coda volutamente), bisogna sgombrare il campo da ogni possibile incomprensione: Sapiens di Harari è un ottimo saggio per almeno tre motivi

Il primo motivo: tratta di numerosi argomenti, e lo fa in modo chiaro, efficace e breve. Non perdendosi in rivoli, la sensazione che si ha è quella di leggere un romanzo di avventura. 

Il secondo motivo: pochi libri affrontano questi argomenti e sicuramente nessuno è così proiettato verso il futuro. Sapiens guarda al passato ma sempre rivolto verso il domani e ciò che ci aspetterà. Breve storia del mondo di Gombrich e Armi, acciaio, malattie di Diamond affrontano un tema simile, ma nessuno di essi (pur avendo molti pregi) è proiettato verso il domani. 

Il terzo motivo: è un libro il cui successo è, una volta tanto, meritato. Non capita spesso che dei best seller meritino davvero il successo che riscuotono. Sapiens è ancora in vetta alle classifiche di vendita dei saggi, e per fortuna. 

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I punti deboli 

Il saggio rappresenta un tentativo di compiere un volo d’uccello sulla storia dell’umanità, e questo tentativo lo rende interessante, anche se non unico. Nonostante un giudizio complessivamente positivo, tre almeno sono i punti che non ho apprezzato. Come metro di paragone, considero un saggio di genere affine, anche se di stampo più scientifico: Spillover di Quammen, che abbiamo recensito su questo blog

Nell’edizione Bompiani manca un indice analitico. In Spillover, edito da Adelphi, non solo era presente, ma era perfettamente riuscito perché organizzato secondo i più stringenti criteri editoriali. E in Sapiens la mancanza si sente: seppur non eccessivamente lungo, i personaggi storici citati sono centinaia. Non poter ritrovare il punto in cui si parla di un argomento a cui siamo interessati, rende questo libro un’occasione mancata. È probabile che qualche lettore desideri muoversi più liberamente nel testo. 

Se l’assenza dell’indice analitico potrebbe anche non togliere il sonno, un’altra caratteristica del testo potrebbe far rizzare i capelli a qualcuno. Parlo di come Harari decide di riferire le opinioni e gli studi altrui. Per chiarezza riporto un esempio, tratto a caso fra quelli collezionati durante la lettura. 

 

«Nell’Europa medievale gli aristocratici spendevano con noncuranza i propri soldi in lussi stravaganti, mentre contadini vivevano frugalmente […]» (p. 434)

 

Una tale affermazione, in un contesto diverso, più formale e accademico, avrebbe richiesto certamente un’attribuzione. Chi dice questa cosa? L’apparato di note al termine del volume è molto limitato, e tutte le fonti sono presenti sul sito web dell’autore. Ma la fonte di questa informazione pare proprio non esserci. Magari verrà inclusa nella parte della pagina del sito che ora riporta “coming soon”, ma per ora il lettore rimane a bocca asciutta. Non sarebbe stato meglio un approccio diverso, come avviene in Spillover e in migliaia di altri saggi? Molto semplicemente sarebbe bastato citare la fonte all’interno del testo, senza note e senza rischio di dimenticarsene. Citare un nome o un’opera avrebbe reso giustizia a tutte le affermazioni che sembrano campate in aria: avrebbe appesantito il volume di venti pagine ma arricchito il lettore molto di più. Sia chiaro, l’assenza di citazioni o di attribuzioni puntuali non rende il volume privo di scientificità nella sua interezza (questo i accade solo in alcuni punti, come quello citato). Semplicemente instilla curiosità nel lettore, il quale magari vorrebbe approfondire delle questioni, che però non vengono soddisfatte. 

Harari, a volte, pare un po’ troppo pessimista. Questo avviene soprattutto in quelle parti che guardano il futuro, anticipando il contenuto degli altri suoi libri. La visione dell’autore sulla storia e sul futuro è intoccabile dal momento che il testo è suo, ma, ancora una volta, una citazione di una fonte avrebbe reso certe sue affermazioni meno moraleggianti e meno stucchevoli. 

Dopo aver affermato che gli umani distruggono habitat naturali, Harari scrive: 

«Il nostro pianeta, un tempo verde e azzurro, sta diventando un centro commerciale di cemento e plastica.»

Il lettore rimane privo di tutte le risposte alle domande che questo passo solleva. Quali sono i motivi che spingono Harari a pronunciare questi giudizi? Perché è così categorico? Nonostante le premesse possano sembrare logiche, le conseguenze non sono così ovvie e condivisibili da tutti.